History and Hermeneutics for Mathematics
Education
Storia
ed Ermeneutica per la Didattica della Matematica
Lectures by Torricelli (1823)
Le Lezioni di Torricelli (1823)
Torricelli, E. (1823), Lezioni accademiche, Milano,
Silvestri (II ed.)
TORRICELLI Evangelista (1608-1647)
Indice
Avviso
del Tipografo (p. VII).
Prefazione
e vita dell’Autore (p. 1).
Lezione prima. Ringraziamento agli Accademici
della Crusca, quando da essi fu ammesso alla loro Accademia (p. 63).
Lezione seconda. Della Forza della Percossa (p. 67).
Lezione terza. Della Forza della Percossa (p.
86).
Lezione quarta. Della Forza della Percossa (p.
104).
Lezione quinta. Della Leggerezza (p. 120).
Lezione sesta. Della Leggerezza (p. 133).
Lezione settima. Del Vento (p. 149).
Lezione ottava. Della Fama (p. 166).
Lezione nona. In lode delle Matematiche (p.
183).
Lezione decima. Dell’Architettura militare (p.
202).
Lezione undecima. Dell’Architettura militare (p. 221).
Lezione duodecima. Encomio del Secol d’oro (p. 236).
Lezione nona.
In lode delle Matematiche
Io non credo che le discipline matematiche avessero giammai minor
bisogno di lode, che in questo giorno e in questo luogo, alla presenza di voi,
virtuosissimi uditori. Imperocché sono, a mio giudizio, totalmente superflue le
lodi e inopportuni gli encòmi della matematica in questo felicissimo stato,
dove la nobiltà la professa, e i principi
Acer, et ad palmam per se cursurus honoris,
Si tamen horteris fortius ibit equus,
anderò toccando con rozzo discorso qualche particolarità delle
matematiche, acciò voi sentiate rammentarvi una particella delle utilità che si
cavano da quei peregrini studi, a’ quali siete tanto, e per inclinazion di
genio e per elezion di giudizio, applicati.
Par propriamente un delirio di malinconia, in tutte l’università
d’Europa, se qualcuno, lasciata l’affluenza del comun concorso, s’applica alla
contemplazione dell’abbandonate matematiche. Io confesso di non aver incontrato
briga maggiore, né difficoltà più frequente, che nel dover ogni giorno
rispondere all’interrogazione fattami: A che servono queste matematiche?
Ecco dunque, che rispondendosi alla curiosità, spero che
gl’interroganti saranno astretti a confessare che con ragione la sapientissima
antichità costumava di farla imparare a’ giovanetti, prima che si applicassero
a niun’altra disciplina.
Parmi forse poco benefizio questo, uditori, che mentre voi
abbiate un ingegno lucido, fatto da Dio per intendere, ed inclinato per natura
alle speculazioni; parvi, dico, poco benefizio, che si trovi una scienza sì
nobile, la quale da sé sola sia bastante per appagare il vostro intelletto, per
dar cibo d’ingegnoso trattenimento alla cupidigia di qualunque curioso
speculatore? Che frutto d’interna consolazione stimate voi che raccolga un
animo veramente filosofico, dedito alla cultura d’una sceinza, gli insegnamenti
della quale non sono opinioni di dottori, o fantasie d’uomini, ma beneplaciti
divini, e verità indubitabili ed eterne? Non troverete una sola proposta nella
geometria, la qual non lasci esquisitamente appagato l’animo di chi l’ha
intesa. Non si trova che ne’ libri classici della matematica da due secoli in
qua si sia giammai scoperta un’ombra di fallacia; non per altro, se non perché
le verità geometriche ritrovate una volta sola, subito che sono scoperte,
escludono le contraddizioni, e si pongono in possesso dell’eternità. Dovrebbe
bastar questo per appagar l’animo d’un vero filosofo, il quale abbia dedicato
l’ingegno, non al guadagno, ma alla sapienza. Platone adirato contro Eudosso e
Archita, perché non contenti dell’astratte contemplazioni geometriche,
tentavano di propagarle ancora per l’utilità, nelle macchine materiali, alza
una voce in Plutarco, ed esclama: Sciocchi ed inetti che siete, e perché depravate
la bellissima geometria, quasi che ella ad sui usum corporea mole, et
mercenaria indigeat inertia?
Ma che le matematiche sieno profittevoli ancora per l’altre
professioni, e primieramente per la Religione e per la santa scrittura, odasi
S. Agostino, il quale dà la sentenza favorevole per la parte nostra. Egli al
cap. 16 de Doctrina Christiana asserisce che per l’ignoranza de’ numeri
e dell’aritmetica non erano intese molte cose, le quali con traslati e in sensi
mistici venivan poste nelle sacre carte. Di tuttociò egli apporta vari esempi;
ma non contento, trascorre ancora di nuovo nella medesima materia, ed esagera
più diffusamente nel cap. 37 questo medesimo argomento. S. Girolamo
nell’Epistola 5 del primo tomo mostra quanta forza ed efficacia sia nella
scienza de’ numeri per intender bene certi misteri delle sacre scritture, per
altro assai reconditi ed astrusi: nel qual luogo ancora soggiugne che la
geometria apporta molta utilità a’ teologi che la posseggono.
S. Agostino nel luogo già citato afferma che la teoria musicale
(che pure è parte delle matematiche) è necessaria a un dottore cristiano. Poco
dopo nel cap. 19 aggiugne che i Teologi dovrebbero essere con ogni diligenza
istrutti nella geografia. San Gregorio Nazianzieno si diffonde nell’innalzar
con applauso di lodi magnifiche il suo gran maestro S. Basilio, perché egli era
non ordinariamente perito nella cognizione dell’astronomia, della geometria e
dell’aritmetica. Ma senza andar ricercando le testimonianze della remota
antichità, chiedasi a Gregorio XIII pontefice romano, quanto benefizio abbia
ricevuto la Chiesa di Dio dalla scienza dell’astronomia, e in particolare dai
matematici allora viventi. E gli risponderà, come famoso autore della
correzione del Calendario, che se le solennità di Cristo Signor Nostro e le
feste de’ santi martiri sono oggidì celebrate da santa Chiesa ne’ lor tempi e
in quei giorni appunto dell’anno ne’ quali essi santi martiri o morirono o
nacquero, tutto fu solo benefizio dell’astronomia. Ella insegnandoci la vera quantità
dell’anno ricondusse colla detrazione di quei dieci giorni le feste a’ lor
tempi dovuti, e insieme rimediò ch non potessero mai più trascorrer per
l’avvenire. Questo benefizio si poteva ben chiedere, ma non già impetrare da
altra professione, che dalla matematica.
Di quanta utilità sia l’astronomia nella medicina, nell’arte
nautica e nell’agricoltura, non credo che ad alcuno di voi sia ignoto, uditori.
Attendete se i benefizi dell’astronomia sieno importanti per i vostri
interessi. Nella medicina si tratta della vostra sanità e della vostra vita;
dall’agricoltura dipendono i nostri alimenti e le nostre delizie; dall’arte
nautica le ricchezze e le comodità di quasi tutti i popoli della terra. La
medicina è piena di precetti e d’osservazioni astronomiche. Dell’agricoltura e
dell’arte nautica si legge nella meravigliosa Georgica:
Propterea tam sunt Arcturi sydera nobis
Haedorumque dies servandi, et lucidus anguis,
Quam quibus in patriam ventosa per aequora vectis
Pontus, et ostriferi fauces tentatur Abydi.
Che diletto apportano le predizioni tanto aggiustate degli
eclissi celesti? Vedete pure che per venti e cent’anni prima s’indovinano i
mancamenti del sole e della luna. Vedete che e’ si predice puntualissimamente in
qual giorno dell’anno, in che ora del giorno, in qual parte del cielo, a quai
popoli della terra e per quanta porzione del suo diametro s’oscurerà o l’uno o
l’altro che sia de’ luminari. Non vi pare che sia una gentil soddisfazione
quella che ci apporta la geometria? Questa con alcune regolette vi dipinge nel
piano de’ muri, o in altre superficie, un oriuolo, al quale siete certi che
renderà obbedienza perpetua in tutti i suoi viaggi, quasi per obbligo,
l’istesso sole. Voi intanto con una figura di poche lineette prescrivete, per
così dire, le leggi al gran monarca de’ pianeti, il qual si trova poi costretto
a mandar l’ombre sue, non per altre strade, che per quella che dallo scioterico
architetto gli saranno state dipinte e assegnate.
In quanto a me, non istimo uomo di gusto umano colui il quale non
sente straordinario diletto in vedere, dentro i confini angusti di una
stanzuola, epilogata la faccia dell’universa terra, nelle tavole geografiche
dell’industrioso Settentrione. Rispondi tu, diligentissimo Ortelio, e dacci ad
intendere, se i famosi piloti d’Olanda e d’Inghilterra potevan giammai situar
l’isole e delinear nelle carte loro le spiagge dei Continenti, intorno alle
quali navigavano, se non erano aiutati dal benefizio dell’astronomia? Sapete
benissimo, uditori, che senza l’uso delle longitudini e dell’altezze polari
sapremmo difficilissimamente, non dico la configurazione di tutta la terra, ma
la delineazione della piccolissima Italia.
Mi sovviene d’aver sentito dire da un grand’ingegno, che l’onnipotenza
di Dio compose una volta due volumi. In uno Dixit et facta sunt, e
questo fu l’universo: nell’altro Dixit et scripta sunt, e questa fu
Quid tantum oceano properent se tingere soles
Hiberni; vel quae tarda mora noctibus obstet:
quando investigasse le precessioni degli equinozi, i termini
degli eclissi, la trepidazione del firmamento e cose simili, certo
s’accorgerebbe che l’unico alfabeto, e i soli caratteri con i quali si legge il
gran manoscritto della filosofia divine nel libro dell’universo, non sono altro
che quelle misere figure che vedete ne’ geometrici elementi.
Qual concetto formereste voi, signori uditori, della ricchezza
d’un mercante, se vedeste che i gran principi e i potentati della terra
applicassero tutto l’ingegno proprio e tutte le forze de’ sudditi, non per
impadronirsi della preziosa drapperia di esso, ma solo per conquistarsi qualche
minuto frammento di quel braccio col quale egli misura la ricca suppellettile
delle sue mercanzie? Qual concetto, dico, formereste, uditori, d’un mercante di
questa sorta? Felici voi, anime grandi d’Ipparco e di Tolomeo! I fondachi dove
voi esercitavate i traffichi dell’industria ingegnosa, erano i cieli, e fra le
votre tappezzerie si numeravan le stelle e i luminari. Questa palla di terra,
che pure è la base de’ regni e il fondamento delle monarchie, non serviva per
altro nelle vostre botteghe, fuorché per misurare a semidiametri gli intervalli
delle sfere, e l’adoperavate per pertica delle vostre dimensioni. Povero
Alessandro! con che lacrime averebb’egli pianto, se dopo avere scorso con volo
trionfale dalla Macedonia fino al Gange, avesse pensato che la somma del suo
faticoso acquisto non era altro, che una particella di quel braccio e di quella
misura la quale nella ricca officina dell’astronomia o si disprezza, o non si
stima per altro, che per misurare i broccati e i fondi d’oro che eternamente
lampeggiano nelle sfere e nel firmamento.
Che diremo dell’aritmetica? Si richiederebbe propriamente un
aritmetico per numerare i benefizi che ella apporta, non meno a’ contemplativi
astratti, che agli economi e a’ mercanti applicati. Voi potete far fede,
ingegnosi maestri d’algebra qui presenti, quanti problemi che quasi eccedono la
capacità dell’ingegno umano, poi coll’aiuto di questa scienza si svelano, non
so se con maggior diletto, o con maggior maraviglia. Come sarebbe mai
possibile, ne’ commerci della vita civile, non ingannare o esser ingannato,
senza la dottrina del numerare? Qual sapiente avrebbe cuore giammai di
svilupparsi dalle lunghe somme dei linri mercantili, da’ calcoli de’ banchieri,
dalle compagnie, da’ bilanci, dal pareggiamento di cambi diversissimi? Cose le
quali si rendono poi non solamente possibili, ma ancora agevoli ad un fanciullo
che abbia l’istruzione dell’aritmetica.
Chi non ammira la meccanica, si può ben dire che non goda della
scena delle maraviglie. Mi par deplorabile la miseria de’ nostri tempi ne’
quali questa facoltà tanto benefica e tanto maravigliosa è molto adoperata, ma
poco intesa. Non si trova tra le immonde ciurme delle galere schiavo tanto
inesperto, che non sappia benissimo l’uso dell’argano e la pratica delle
taglie. Ogni muratore o pizzicagnolo, per ignorante che sia, sa l’utilità della
leva e le operazioni della bilancia. Altri per mera pratica sanno l’uso del
misurar le campagne. Altri s’esercitano nell’architettura mercenaria di palazzi
e fortezze. E un filosofo, e un uomo libero, nato per sapere, non si vergogna
quando pensa che egli non intende quelle cose e quelle macchine che ancora fino
gli stessi facchini sanno adoperare?
Sovvengavi, uditori, la memorabile strage che fece nell’esercito
romano il fulmine di Siracusa, Archimede. Narrano Plutarco e Livio prove sì
eccelse di quel meccanico, che appresso i secoli della posterità troveranno mai
sempre più di maraviglia, che di credenza. Lascio l’istorie, perché son note.
Esagera Plutarco lo spavento e le sconfitte degli oppugnatori romani in molte
forme: finalmente proropme che sembrava che pugnassero contro gl’iddei. Scrive
quell’altro: Habuisse profecto tanto impetu caepta res fortunam, nisi unus
homo Syracusis ea tempestate fuisset Archimedes. Dunque un uomo solo
vecchierello ed inerme si giudicava equivalente a una squadra di dei? Dunque un
sol uomo era bastante per resistere (quasi dissi per vincere) un esercito
romano? un esercito allevato nelle guerre, assuefatto alle vittorie,
trionfatore delle nazioni, corteggiato dalla fortuna, poi spaventato da un uomo
solo? Glorioso Archimede, che nelle rovine della patria ancora trionfasti nelle
lacrime dell’inimico.
Venga la geometria, la quale doverebbe stimarsi, siccome
veramente è, la madre e la regina di tutte le scienze matematiche. Dovremmo
riconoscere da lei tutti i giovamenti e tutti i diletti che derivano
dall’aritmetica e dalla musica, dall’astronomia e dalla meccanica e dalla
geografia, dall’architettura, dall’optica e da tutte l’altre figliole
subalternate alla matematica famiglia. Ma per toccar qualche suo proprio
particolare, quante volte ci occorre il misurar la superficie de’ campi e la
tenuta de’ poderi? Come spesso si ricerca quante braccia cube di fabbrica sieno
in un muro? quanto sia il vano e la capacità di una casa o di qualunque vaso,
di che figura si sia? quante braccia di terra sieno in un monte da
trasportarsi; quante ne fussero in un pozzo o in un fosso, prima che fusse
lavorato; quant’acqua passi per un fiume in un’ora, ovvero in altro assegnato
spazio di tempo. Queste e molte altre simili son quistioni che dal solo
geometra e non da alcun altro professore posson essere sciolte e determinate.
Quante volte accade dover levar piante di città, di fortezze e anco di
provincie? La geometria con semplici strumenti vi descriverà la pianta
desiderata, ancora quando non possa avvicinarsi al luogo da descriversi.
Misurerà coll’occhiate ed escluderà colla lunghezza dello sguardo l’attività
dell’artiglierie. Ella dirà l’altezza di quella rocca o di quel castello senza
appressarvisi; ella saprà quanto sia il perpendicolo di quel monte o il
diametro di questo globo, ancorché l’uno e l’altro stia immerso nell’altissime
viscere del terreno. Ella finalmente porterà le misure dovunque arriverà colla
vista e non sarà possibile ne anco l’altissimo Saturno d’esentarsi dalle
dimensioni della sagacissima geometria. Lascio star da parte che se ad alcun
de’ viventi cadesse giammai nell’animo il pensiero di voler vagheggiar la
verità (la quale, per mio credere, è la più bella fra tutte le figliuole
dell’Onnipotenza) non conviene che la ricerchi o speri di vederla giammai tanto
presente e tanto manifesta in tanti libri, quanto in quelli della geometria.
Parlo solamente, uditori, de’ libri della sapienza umana, fra le carte de’
quali concedo che molte volte s’incontrerà qualche vero, ma però come
peregrino, e tanto avviluppato nella mistione delle falsità che l’accompagnao,
che l’intelletto speculativo durerà gran fatica a discernere le lerve di nebbia
da’ simulacri di verità. Pel contrario, ne’ libri della geometria vedete in
ogni foglio, anzi in ogni linea la verità ignuda, la quale vi discuopre nelle
figure geometriche le ricchezze della natura e i teatri della maraviglia.
Platone, che al contrario de’ moderni filosofi meritò il cognome
non dalla eccellenza, ma dalla divinità, lasciò scritto nel Filebo, ovvero
Dialogo del sommo Bene, che quella scienza è più degna e più eccellente d’ogni
altra, la quale è più amante della sincerità e della verità. Proclo,
nobilissimo scrittore, testifica, la geometria esser utilissima per l’acquisto
della filosofia naturale, dell’etica e della dialettica; sapere che i libri di
Platone e d’Aristotile, cioè dei principi delle cattedre e delle scuole, son
tutti pieni d’esempi matematici, e però non posson esser intesi perfettamente,
se non da chi avrà prima avuto la contraccifera e l’istruzione dalla geometria.
L’editto platonico, col quale proibiva l’ingresso della sua famosa accademia a
chi non era geometra, oggidì è assai più noto che osservato. L’istesso Platone
nel Filebo pronunzia che tutte le discipline son vili senza le matematiche. Il
medesimo, nel settimo delle Leggi, comanda che le discipline matematiche
debbano impararsi prima di tutte l’altre; ed assegna le ragioni, per le molte e
rilevanti utilità che esse apportano, non solo per l’apprensione dell’altre
arti, ma anco per l’amministrazione della repubblica e per lo governo delle
città. Nell’istesso luogo egli afferma che gli aritmetici naturalmente sono
atti e idonei a tutte l’altre dottrine: e diffondendosi nelle lodi delle
matematiche, arriva fino a dire che quando anco non apportassero utilità alla
repubblica (siccome ne apportano innumerabili) in ogni modo dovrebbero impararsi
per questo punto solo, perché elle corroborano la mente e inacutiscono
l’ingegno, facendolo idoneo all’apprensione dell’altre arti liberali. Nel
settimo della Repubblica e nel Timeo, esalta le matematiche con encomio
superbo, chiamandole via da ogni ingenua erudizione. Nell’istesso soggiugne che
l’occhio dell’anima, il quale negli altri studi s’acceca, solo dalle scienze
matematiche vien recreato ed eccitato alla contemplazione.
Ma che occorre ch’io vada numerando le testimonianze
dell’antichità, che per esser vecchie son deboli? Abbiamo, uditori,
freschissimi e presenti i motivi che dovrebbero esser efficaci per isvegliare
qualsivoglia più neghittoso e addormentato ingegno. Nominerò solo l’esempio de’
vostri serenissimi principi, amatori e protettori delle matematiche; accennerò
solo la fresca memoria del nostro famosissimo Galileo, nome benemerito
dell’universo e consecrato all’eternità. Se l’industria dell’arte e la
fertilità dei campi rendono questa patria abbondante; se la provvidenza e
l’equità del governo pacifico la fanno felice; se la preminenza d’una favella e
la monarchia d’una letteratura sì degna la pongono nel soglio della gloria, il
solo nome del Galileo era bastante per coronarla di lode e per renderla
immortalmente famosa. Famosa, dico, anco appresso quelle nazioni barbare, sopra
le quali, per l’incapacità dell’idioma, non si estende la potenza litteraria
dei tribunali delle vostre accademie.
Dissi poco, uditori; ma s’io volessi accennare tutto quello che
mi si rappresenta intorno alle matematiche mancherebbe prima l’ordine che la
materia, e perverremmo piuttosto alla nausea che al compimento. Resta ch’io
tronchi la molestia e il tedio del mio sconcio ragionamento, con offerir
l’ossequio di prontissima servitù a tutti quelli che si compiaceranno s’essermi
condiscepoli nello studiare
Acutum
Reddere quae valeat ferrum expers ipsa secandi.
Io intanto avrò per gloria il poter imparare da tutti, ed in
particolare da quelli che essendo addisciplinati nelle scuole de’ miei famosi
maestri e predecessori, cooperano ora colla maturità dell’ingegno all’ornamento
della patria e godono i frutti della sapienza (Lezioni accademiche, pp.
183-201).
See moreover:
Si veda inoltre:
Ciassi, G.M. (1677), Meditationes de natura plantarum et
Tractatus physicomathematicus De æquilibrio praesertim fluidorum, ac de
levitate ignis, Benedetto Miloco, Venezia.
Poisson, S.D. (1811), Traité de Mecanique, I, II, Courcier, Paris.
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